Ho sempre fantasticato sul giorno in cui finalmente anche io sarei rimasta incinta.
Immaginavo già di trascorrere i pomeriggi in spensieratezza, fare lunghe passeggiate con la testa perennemente per aria a pensare al suo nome, al suo volto. A tutte le volte che mi sarei svegliata in piena notte in preda ad una strana voglia e avrei costretto Ivano a prepararmi qualsiasi tipo di leccornia desiderassi. Ai mini week end che avremmo fatto, alla risate, alla gioia pura ed unica che solo un momento così ti può regalare.
Non avevo considerato la variabile impazzita, però. Non tutte le gravidanze sono rose e fiori. Non tutte le donne l’affrontano allo stesso modo o hanno gli stessi sintomi. E presto mi sono dovuta scontrare con questa realtà e con gli sguardi attoniti della gente che non riesce ad accettare che tu – TU DONNA (non solo hai la fortuna di essere) INCINTA E (sei pure) INGRATA – possa anche solo lontanamente provare a lamentartene.
Ma iniziamo dal principio.
Quando ho scoperto di essere incinta non avevo praticamente sintomi se non uno strano affanno anche solo a parlare, una sindrome premestruale iniziata con un po’ di largo anticipo e ovviamente, il ciclo in ritardo. Per il resto mi sentivo in forma. Ero appena tornata in Sicilia dopo due mesi a Milano e una mini vacanza di una settimana tra Roma e Firenze. Settimana in cui non mi sono fatta mancare nulla: dalle centinaia di km percorsi anche sotto la pioggia; dagli innumerevoli piani saliti (tra cui i 300 scalini per salire sulla cupola di San Pietro a Roma); un numero indefinito di tiramisù da Pompi sempre a Roma; sauna e idromassaggio e dulcis in fundo persino un piercing da Maria Tash.
Tutto questo mentre ero incinta e non lo sapevo ancora.
E questo, lo ammetto, mi aveva sviato in un primo momento. Credevo che superato il primo mese e mezzo senza praticamente sintomi, sarebbe stata una passeggiata. E invece… invece non avevo capito proprio nulla!
Gravidanza: quando il primo trimestre è davvero duro
Sino a quasi il quinto mese ho patito le pene dell’inferno, sono stata talmente male che non riuscivo neppure a stare in piedi. Ho trascorso due mesi praticamente a letto (tranne quelle poche eccezioni in cui andavo a fare le visite e quelle rare in cui provavo – senza successo – a fare qualcosa). Vomitavo sempre. Tutto. Persino sangue. Mangiavo pochissimo e super leggero ma senza benefici. Ho perso persino peso. E poi crampi, fatica a reggermi in piedi, dolori alla schiena… di tutto.
E in quei momenti l’unica cosa che riuscivo a fare era piangere. Ho pianto tantissimo. Perché stavo male e perché mi sentivo in colpa. Sì, in colpa.
Non riuscivo a capire le mie emozioni contrastanti, non avevo il controllo su di loro e questo mi ha destabilizzata. È come se in quei momenti tremendamente bui, io non riuscissi a godermi appieno il miracolo che mi stava capitando. E mi arrabbiavo con me stessa, mi sentivo tremendamente stupida e quasi ingrata. Nei confronti della mia bambina, nei confronti di tutte quelle donne che desiderano un figlio e non possono averlo, nei confronti della vita stessa.
Poi però ho capito che è normale, si vive un momento di profondo cambiamento del proprio corpo, della propria mente e sì, della propria vita. Un figlio ti stravolge i ritmi, ti modifica le priorità, le paure si amplificano e le notti insonni non tardano ad arrivare. Ogni donna ha il diritto di viversi il suo momento con i suoi ritmi, le sue angosce, le sue insicurezze. Senza doversi prendere il carico del mondo intero sulle proprie spalle e sentire sulla propria pelle il dolore di tutte. Con rispetto certo, ma ogni vita è a sé. Ogni storia è a sé, ma soprattutto ho capito che aver paura fa parte di questo lungo processo e che man mano che i mesi passano, aumenta a dismisura. E temo che sarà sempre peggio anche e soprattutto dopo la nascita del bambino.
Perché in fondo siamo umani, abbiamo le nostre debolezze e le nostre fragilità. Le wonder woman lasciamole ai film di avventura.
La vita, quella vera, è un’altra cosa.
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